Il Canto dell’assemblea: quale percorso educativo

Articolo tratto dalla rivista Psallite – autore don Peppino Cito

Cantare è dell’amore, non dell’estetica. Innanzitutto sarà bene chiarire che quando parliamo di canto dell’assemblea prima che di un dovere parliamo di bisogno innato di ogni creatura, quando vuole esprimere sentimenti di gioia o di dolore. È bisogno soprattutto di chi ama (S. Agostino). Al di là delle capacità di rispettare determinati canoni estetici, l’amore precede l’arte, anche se non ne può fare a meno. Parlare poi di ‘diritto’ al canto da parte dell’assemblea non è comunque fuori luogo tanto per i motivi appena accennati quanto in rapporto alle esagerate espressioni di protagonismo di determinati soggetti liturgici come il coro o i solisti. Cantare è, inoltre, dare voce a sentimenti, emozioni che, diversamente, non sapremmo come esprimere. Non si tratta dunque di funzione suppletiva ma fondamentale del canto. Fuori da stereotipi a lungo erroneamente frequentati, non si tratta dunque di restituire all’assemblea il diritto di cantare quanto di favorire la partecipazione emotiva ed empatica, elementi da non trascurare quando si tratta di eventi di natura religiosa e mistica.

Per cantare non è necessario saper cantare. Per altro, cantare senza un minimo di educazione musicale non rende bella una celebrazione. Se dobbiamo salvaguardare il bello e frequentare la via della bellezza anche nella liturgia il canto, almeno quando viene eseguito da un coro o da un solista non dovrebbe prevedere sbavature.

Discorso diverso se parliamo dell’assemblea che, se capisce il bello, non sempre è preparata ad eseguire bene un canto. Ma qualche stonatura non fa problema quando tutta l’assemblea si impegna a partecipare col canto.

Canto e Spirito Santo vanno molto d’accordo: quando lo Spirito Santo soffia sull’assemblea celebrante trova sicuramente nel canto una via d’uscita preferenziale. L’inconscio riaffiora e permette alla fede di dire anche l’inesprimibile del sentire credente che resta ‘ineffabile’.

Soggetti educanti
Non si deve colpevolizzare nessuno: se l’assemblea non canta non è colpa del solista che alza la voce più del dovuto al microfono e non fa sentire quella dell’assemblea o del coro che canta anche durante il ritornello che toccherebbe all’assemblea o del presbitero presidente che canta pure le parti che non gli toccano. Tutti questi soggetti potrebbero calibrare meglio i loro interventi ma il vero problema non sta nel dosaggio degli interventi: alla fine un accordo si troverà. Se l’assemblea non ha un partner che si prende cura di lei non avrà mai una forza ‘contrattuale’. E questo partner non può essere nessuno dei soggetti liturgici appena nominati. Sarà invece una figura che nelle nostre assemblee, dal concilio in poi, non si è mai vista se non raramente. Parliamo dell’animatore musicale. Non parliamo della guida dell’assemblea, anche se a volte le due funzioni si potranno accorpare. Fino a quando l’assemblea non potrà contare su questo ‘servizio’ liturgico, previsto dall’OGMR nella sequenza della ministerialità liturgica, l’assemblea resterà un soggetto troppo debole e incapace di prendere ‘la parola’ ogni volta che le tocca.

L’animatore musicale: è figura indispensabile per la celebrazione dell’eucaristia con partecipazione di popolo, dal momento che, alla fine, ogni messa dovrebbe essere messa ‘cantata’, anche quelle di 20 minuti, dove esistono ancora. E anche quando il presbitero presidente non sa cantare né tanto meno sa aiutare l’assemblea a cantare. Ogni assemblea dovrebbe poter disporre del suo animatore come dispone del suo presbitero o del suo lettore. Non è una figura in più, facoltativa, ma propria.

Come non si dà lettura senza lettore, non si dà assemblea che canta senza animatore musicale. Non vuole essere un principio liturgico da argomentare citando questo o quel numero dell’OGMR – cosa che si potrebbe anche fare – quanto piuttosto di individuare in questo servizio necessario un ruolo ben preciso durante la celebrazione e un servizio necessario per dare all’assemblea la voce al momento giusto.

L’animatore musicale ha come compito fondamentale promuovere la soggettività liturgica dell’assemblea: far sì che questa riconosca durante la celebrazione di avere un posto ben preciso e un compito da esercitare, prima che nel canto, nell’offerta di sé stessa col sacrificio eucaristico. L’animatore musicale quindi non si sostituisce all’assemblea ma fa in modo che l’assemblea canti quelle parti che le sono propriamente attribuite dal messale e dal lezionario. Fare le prove di canto prima della celebrazione non è un espediente per rendere più bella o solenne la celebrazione, ma un esercizio di promozione di soggettività. Anche se alla fine non si dovesse ottenere un ottimo risultato esecutivo, i fedeli almeno avranno pian piano acquisito la consapevolezza che quella parte della messa è di loro specifica pertinenza.

Per favorire il canto dell’Assemblea, anche il presbitero può essere una buona risorsa: per esempio ogniqualvolta si sforza di cantare ‘solo e tutto’ quanto gli tocca (OGMR, 91) ed evita di confondere la sua voce col coro, col solista o col salmista. Oppure quando, prima della celebrazione, dedica del tempo ad introdurre l’assemblea nell’evento a cui sta dando inizio, perché di un evento nuovo si tratta e non solo di un rito ripetuto. Purtroppo esistono ancora troppe abitudini negative da parte dei presbiteri, che finiscono col diseducare la gente invece di invogliarla a cantare. Alcuni preti per esempio recitano o cantano tutto l’Agnello di Dio ad alta voce come fosse un canto del presidente quando invece potrebbero tacere in quanto tocca all’Assemblea. Così cantano il Santo a tutto volume quando potrebbero lasciare al coro la proclamazione (I cieli e la terra) e unirsi all’assemblea per l’acclamazione (Osanna). Abbiamo dato troppe deleghe nella riforma liturgica, a tal punto che in moltissimi casi la riforma non esiste se non nelle suppellettili.

Abbiamo delegato al celebrante l’intonazione di tanti canti che non gli spettano, all’organista la funzione di animatore musicale che non gli spetta e di cui spesso non possiede la capacità. E per assicurare una risposta alla domanda legittima dei fedeli di avere una messa ‘cantata’ (con relativo obolo) ci siamo inventati di tutto, ma spesso nella direzione sbagliata.

Repertorio e sussidi
Quando un canto è bello non ci si stanca di cantarlo… anche a casa. Allora si capisce che non è solo questione di saper o voler cantare. Bisogna fare i conti anche col genere di canti che vengono proposti. Molte persone portano a casa, invece che un rigo di vangelo, una espressione del canto ascoltato o eseguito durante la messa della domenica. Oppure un motivo musicale. Che segno è?

Una messa tutta ‘cantata’, senza organista, senza foglietti e senza microfono. Si può fare. Quando per esempio si eseguono in canto tutte le acclamazioni previste e tutti i canti rituali previsti, anche senza un organista che dà la nota o intona al microfono. Basta un animatore musicale: allora assemblea e celebrante entrano in dialogo, le voci non si accavallano, tantomeno si invertono i ruoli, cosa che pure spesso succede come appena detto.

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