Da dove parte l’idea di canto nella liturgia? Non nasce col gregoriano ma in esso trova linfa e nuove idee.
Per ragionare sull’inserimento della musica o delle semplici melodie all’interno delle funzioni e delle liturgie in genere, si potrebbe evitare un discorso storico o musicologico: da sempre, il canto ha aiutato la comunicazione e, sicuramente, è quasi superfluo ragionare sull’accostamento di melodia con l’idea di percorso compiuto da una qualunque parola (in particolare quella di Dio e dei testi sacri.)
Il canto gregoriano è considerato dalla Chiesa come “Bibbia cantata”, e nelle sue varie forme viene utilizzato nella liturgia (in particolare nei monasteri). Il gregoriano è un canto a una sola voce e senza accompagnamento musicale e gran parte del repertorio di canti venne composto durante il V e VI secolo nella schola cantorum, in cui la Chiesa formava i cantori che accompagnavano le funzioni. Durante l’VIII secolo i sovrani franchi adottarono la liturgia romana, dando vita al canto gregoriano propriamente detto, il gallico-romano. Durante il IX secolo esso si diffuse in tutto l’impero carolingio, e i monasteri benedettini divennero i punti di riferimento per la sua diffusione. In Italia, i due centri più attivi furono l’abbazia di Nonantola e quella di Montecassino. Dalla metà del XIX secolo, grazie a un lavoro di ricerca tuttora in corso, l’abbazia di Solesmes, in Francia, si è imposta come il principale centro mondiale di studio e conservazione del canto gregoriano.
Questo breve excursus, rende l’idea di come il canto gregoriano sia arrivato ai giorni nostri. C’è da dire che quello che noi adottiamo come canto gregoriano, spesso è un surrogato di rifiniture e assemblamenti raccolti nel tempo; quasi complicato ragionare sull’autenticità! Col tempo, le forme e le interpretazioni hanno favorito una diffusione ma anche un rapido offuscamento dei resti giunti fino ai giorni nostri.
Ma perchè allora, la chiesa (anche nel Concilio Vaticano II) insiste su questo “strumento”? Semplicemente, è il punto di congiunzione tra i primi cristiani (fonti di autenticità della nostra fede) e i tempi dell’oggi. Ogni singolo canto, conserva una misteriosa verità che, attraverso melismi e forme musicali poco inquadrabili, creano una vera e propria disciplina complessa e ampia dal quale sgorga una autenticità della parola e una corrispondenza storica/mistica della stessa.
Una delle accuse che si fa al gregoriano è che impedisce alla gente di cantare – dice Giacomo Baroffio, tra i massimi esperti in Italia –. Ma anche in molte chiese dove si canta in italiano l’assemblea partecipa poco, con il ‘coretto’ che fa tutto da sé… Sul gregoriano c’è un grande equivoco: la sua crisi non è musicale ma culturale. Il problema è accogliere la parola di Dio secondo una formula collaudata dalla tradizione. Il gregoriano non è musica, è preghiera».
Chi non ha mai cantato o ascoltato il Veni creator Spiritus? Quello è l’esempio sicuramente di un inno che con un portamento quasi popolaresco riesce a “narrare” in maniera incredibilmente spaziale, l’invocazione dello Spirito di una comunità orante o di un cuore prostrato davanti allo sguardo del Padre. Per richiamare il discorso del maestro Baroffio, con il Veni Creator è facile intendere l’idea di preghiera ma vi è la necessità, comunque, di un elemento di base: la predisposizione dell’animo.
Spesso si accusa il gregoriano di non essere collante per una assemblea, come se i canti insegnati sulla base del “ad personam” lo siano! Immagino quindi un liturgia personale: il mio gusto ama il rock e allora sul Gloria serve un assolo di chitarra con tanto di slide o glissato sul Laudamus Te. E’ facile comprendere che non è giusto.
Allora ritorniamo all’origine: il gregoriano non nasce per l’assemblea ma ne conquista gli animi nel corso dei secoli; con tale qualifica, quindi, va imparato, insegnato, diffuso e utilizzato. Non è un quadro da museo ma una guida per entrare in quel museo; non è un ricordo ma un presente vivo.
articolo a cura di R.A.Corleto