«Notte di luce» è un bel canto natalizio che si articola in tre strofe e ritornello su un testo di Eugenio Costa (sj) e melodia di Jo Akepsimas risalente al 1974. Nella liturgia del Natale ben figura come canto di inizio celebrazione (prima del rito di introito), comunione o anche di Offertorio.
Prima di dire due parole di analisi, mi soffermerei un attimo sull’atmosfera generale del brano: atmosfera decisamente tenue, sfumata, persino sognante nella sua toccante delicatezza; specialmente per le strofe, si potrebbe parlare di stile “notturno”, se questo termine non evocasse un genere musicale che è piuttosto estraneo al Natale (notte a parte). “Perlopiù in tempo ordinario” è la dicitura personalissima che ho apposto in testa alla partitura originale (ndr: per esigenze di spazio è stata ridotta) per significare la libertà ritmica con la quale desidero che il canto venga eseguito specie laddove il momento del respiro s’impone al di là del diktat matematico comandato dalla frazione 4/4. Comunque, per farsi un’idea di come anche un computer possa, se debitamente imboccato, imitare la naturalezza dell’uomo, si può forse con profitto ascoltare la mia armonizzazione su YouTube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=vTw3tGN1sUY
Quando dirigevo questo brano mi raccomandavo sempre con i coristi affinché non cantassero troppo forte e troppo bruscamente le strofe: che aspettassero il ritornello per dar fuoco alle polveri! Volevo che le strofe cullassero l’assemblea con il loro nenioso (ma non noioso) dondolante procedere, quasi ad evocare quella notte che qui si canta come notte paradossalmente di luce: notte sì luminosa della sfolgorante luce della messianica nascita già avvenuta, ma anche notte ancora ombrata ed adombrata dalla opaca oscurità dell’attesa, dalla umbratile e speranzosa attesa dell’avvento. “Notte di luce” significa dunque qui ‘chiaro-scuro’. Chiarore diurno, solare, del ritornello e oscurità notturna, lunare, delle strofe; e questa a mio parere è anche la direttiva esecutiva che dovrebbe informare di sé l’interpretazione. Le strofe sonnecchiano nel torpore per svegliarsi felici all’alba di ogni ritornello. Volendo poi fare una notazione tecnica per addetti ai lavori, rileverei i ritardi: li ho messi abbondantemente, nelle strofe, perché la loro luce si risolve nella notte della consonanza, notte nel senso che la tensione luminosa della dissonanza causata dal ritardo trova la sua soluzione così come la trova un occhio nella penombra, dopo che il sole lo ha quasi accecato; il ritardo può servire, in questa musica, per rendere ciò che il testo assai ingegnosamente esprime. Notte e luce si alternano finché il ritornello non decreta il trionfo definitivo della luce.
In effetti, colpisce, come il ritornello giunga improvviso nell’economia generale del canto: «Sia gloria…!», raggio che squarcia i cieli. Il ‘Gloria a Dio nell’alto dei cieli’ risuona squillante come tromba dissipando i sopori strofici della notte. Sia gloria e sia pace. A dire che questa gloria repentina non deve proprio del tutto far perdere il sonno strofico che ha appena tirato giù dal letto: gloria pacifica, gloria in cielo ma pace in terra. Voglio dire cioè che chi ascolta il coro non deve, poverino, spaventarsi, quando la gloria irrompe nel canto; che la gloria faccia pure la sua robusta e sonora irruzione, ma nella pace. E poi, va detto anche che comunque il ritornello è suddivisibile in a-b-a-b: «Sia gloria nei cieli» (a) «sia pace quaggiù» (b); cioè, chiaro (a) scuro (b): c’è una linea discendente, (b), che funge da “notte della luce” (a) anche nella dicotomia espressiva complessivamente luminosa del refrain. Notte della luce: preludio del Natale.